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Autori: Daniela Melis, Mariarosaria Cozzolino, Giorgia Minopoli, Francesca Balivo, Rossella Parini, Miriam Rigoldi, Sabrina Paci, Carlo Dionisi-Vici, Alberto Burlina, Generoso Andria, e Giancarlo Parenti

Rivista: The journal of Pediatrics

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Uno studio prospettico multicentrico italiano ha chiarito alcuni punti irrisolti sulla terapia con ACE-Inibitori e l’importanza di un adeguato controllo metabolico nel trattare i danni renali presenti nei pazienti affetti da GSD tipo I.

Se il danno renale è una complicanza ben nota nei pazienti affetti da Glicogenosi di tipo I, non si può dire altrettanto delle conoscenze sulla terapia e la prevenzione di questa condizione. Si tratta, infatti, di un problema che presenta diversi punti ancora da chiarire. Non è mai stata proposta, ad esempio, una terapia che sia condivisa da tutti gli esperti ed è necessario approfondire meglio i meccanismi che portano al danno renale.
Studi precedenti avevano suggerito gli “ACE-Inibitori” come possibili farmaci efficaci per questa patologia. Questi farmaci sono infatti usati nella nefropatia dei pazienti diabetici che, per molti aspetti, è simile a quella che si manifesta nella glicogenosi. In entrambi i pazienti, infatti, la malattia è lenta a manifestarsi e per diversi decenni resta silente, anche se contemporaneamente il rene comincia a danneggiarsi per un eccesso di filtrazione, detta iperfiltrazione glomerulare. L’iperfiltrazione porta nel tempo a perdita nelle urine dapprima di albumina (microalbuminuria) e poi di proteine (proteinuria), portando negli stadi terminali a un danno ormai irreversibile.
Dal momento che la patologia renale è ben studiata nei pazienti diabetici, a partire da queste conoscenze gli autori dell’articolo hanno cercato di chiarire gli aspetti dibattuti nella glicogenosi. Per i diabetici sono disponibili, infatti, diverse classi di farmaci e sono ben noti i fattori correlati alla progressione della malattia come l’ipertensione, la dislipidemia e alcuni polimorfismi genetici. Il primo punto importante è stato definire se la terapia con ACE-Inibitori fosse o meno efficace anche nei pazienti con glicogenosi. In linea con quello che era stato precedentemente dimostrato si è confermato che gli ACE-Inibitori sono efficaci nel diminuire l’iperfiltrazione glomerulare, mentre sono meno efficaci nel ridurre la perdita urinaria di albumina e proteine. Ma non solo, ci si è chiesti se esistano altri fattori che contribuiscano al danno e alla risposta alla terapia. Ne è emerso un dato molto interessante: nei pazienti con grave dislipidemia la risposta alla terapia con ACE-inibitori era più scarsa rispetto a quelli con un buon controllo metabolico. Le alterazioni metaboliche erano così correlate al danno renale, che più erano alterati i livelli di colesterolo e trigliceridi, più era grave la nefropatia. Sulla base di questi dati, il ruolo dell’iperlipidemia sembra essere centrale nell’evoluzione della patologia dei pazienti con glicogenosi di tipo I.
Gli autori hanno dunque dimostrato che l’iperlipidemia grave compromette l’efficacia della terapia e svolge un ruolo chiave nella progressione del danno renale. Questa acquisizione porta a due conseguenze molto importanti nella gestione di questi pazienti. Da una parte, se le alterazioni metaboliche, spesso dovuto a regimi dietetici mal controllati, causano iperlipidemia e conseguente danno renale, emerge l’importanza del controllo metabolico nella prevenzione delle complicanze renali. Parallelamente, si può ipotizzare che possa essere più efficace una terapia che combini ad ACE-Inibitori dei farmaci ipolipemizzanti, che riducono cioè le alterazioni dei lipidi, andando ad agire su entrambi i meccanismi coinvolti.
Una prospettiva davvero innovativa che ci auguriamo possa aprire nuove strategie nel trattamento di questi pazienti.