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Karina Colonetti K1,2, Bento dos Santos B1,2, Nalin T3,4, Fischinger Moura
de Souza C3, Triplett EW5, Thiago Dobbler P6,
Doederlein Schwartz IV1,2,3, Wurdig Roesch LF6
1 Post-Graduation Program in Genetics and Molecular Biology, Universidade Federal do Rio Grande do Sul, Porto Alegre, Rio Grande do Sul, Brazil,
2 Laboratory of Basic Research and Advanced Investigations in Neurosciences (BRAIN), Hospital de Clínicas de Porto Alegre, PortoAlegre, Rio Grande do Sul, Brazil,
3 Medical Genetics Service, Hospital de Clínicas de Porto Alegre, Porto Alegre, Rio Grande do Sul, Brazil,
4 Postgraduate Program in Medicine: Medical Sciences, Universidade Federal do Rio Grande do Sul, Porto Alegre, Rio Grande do Sul, Brazil,
5 Department of Microbiology and Cell Science, Institute of Food and Agricultural Sciences, University of Florida, Gainesville, FL, United States of America,
6 Interdisciplinary Research Center on Biotechnology-CIP-Biotec, Universidade Federal do Pampa, São Gabriel, Rio Grande do Sul, Brazil

PLOS ONE, 2019

 

Ogni essere umano è l’habitat di un set di microrganismi detto microbiota, il più abbondante e studiato si trova nel tratto gastrointestinale e molte delle specie batteriche che lo costituiscono non sono ancora state caratterizzate. La totalità del patrimonio genetico posseduto dal microbiota viene definito microbioma. Diverse condizioni patologiche come obesità, malattia infiammatoria intestinale (Inflammatory Bowel Disease: IBD) e malattia epatica sono associate a disbiosi, ossia uno squilibrio microbico a livello del tratto digestivo. Tali condizioni sono state riscontrate nei pazienti affetti da malattie da accumulo di glicogeno (Glycogen Storage Disease: GSD). La flora batterica intestinale può essere influenzata da fattori abiotici e biotici, come ad esempio pH e infiammazione. Le differenze riscontrate tra i pazienti con GSD e i soggetti sani a lievllo di questi fattori, potrebbero essere ricondotte sia a malattie genetiche sottostanti che al consumo di amido di mais non cotto (uncooked cornstarch: UCCS), somministrato come terapia ai pazienti con GSD. I pattern microbici alterati e caratteristici dei soggetti in esame, potrebbero agire rinforzando i meccanismi metabolici e immunologici già compromessi e influenzare negativamente la risposta individuale ai trattamenti. Lo scopo dello studio, qui presentato, è stato quello di analizzare la relazione esistente tra le diverse forme di GSD e il microbiota intestinale. Gli autori hanno arruolato 24 pazienti affetti da GSD, trattati con UCCS e 16 soggetti sani come gruppo di controllo, di età ≥ 3 anni, non sottoposti a terapia antibiotica. Successivamente, sono stati raccolti i campioni fecali in tutti i soggetti ed è stata effettuata la caratterizzazione del microbiota intestinale attraverso tecniche di sequenziamento genico (del 16S rRNA). Inoltre, sono stati raccolti i dati riguardanti il pH e i livelli di calprotectina nelle feci, l’intake giornaliero medio e le eventuali terapie somministrate. Tali dati sono stati correlati con i risultati delle analisi sul microbioma intestinale. Gli autori hanno evidenziato come i pazienti con GSD presentino maggiori intake di UCCS e maggiore prevalenza di IBD e obesità/sovrappeso rispetto al gruppo di controllo. Sono state osservate, quindi, differenze riguardanti la dieta, l’assunzione di farmaci, vitamine e i valori medi di pH delle feci nei due gruppi confrontati. I pazienti con GSD hanno presentato disbiosi intestinale, mostrando una perdita della diversità e un’alterata struttura microbica intestinale. Inoltre, è stata osservata un’associazione tra la relativa abbondanza delle differenti unità tassonomiche rilevate e il pH fecale, i carboidrati totali e quelli semplici (zuccheri). Tali alterazioni potrebbero essere ricondotte alla malattia di per sé e/o alla differente alimentazione, all’assunzione di medicine, alle condizioni di obesità/sovrappeso osservate nei pazienti con GSD. Sebbene la principale causa delle differenze osservate non sia del tutto nota, questo studio potrebbe agevolare la gestione dei pazienti a livello nutrizionale. Gli autori suggeriscono come, attraverso il ripristino della biodiversità intestinale, compromessa dall’assunzione di alte dosi di UCCS, sia possibile ottenere dei miglioramenti in termini di salute e qualità della vita. Ulteriori studi sono necessari per approfondire le possibili modalità d’intervento a livello del microbioma intestinale e per chiarirne i possibili effetti sulla salute dei pazienti